COMUNICAZIONE ALTRA

Voici que reviennent les sauvages, secouer ceux qui dorment Dans leurs cages dorées, nous sommes venus briser vos idoles Nous sommes ceux qu'on ne dompte pas, ceux qui viennent crier sur les toits La digne liberté perdue, Que la nature reprenne ses droits !...

mercoledì 25 settembre 2013

25 settembre 2013, 8 anni senza Federico

Ogni volta che scrivo e ragiono su Federico Aldrovandi non riesco a togliermi l'immagine, impressa nella mia mente, dei suoi genitori la prima volta che li ho conosciuti,
eravamo in Sicilia, eravamo in tanti ad ascoltare la loro storia.
Quella storia che loro avevano già raccontato almeno 100 volte (era passato poco tempo dalla morte di Aldro),
la storia che ha segnato le loro vite e che in quel momento non aveva ancora la connotazione che ha ora,
non sapevamo ancora come si sarebbe pronunciata la magistratura in merito e la rabbia era talmente forte che potevamo solo gridare insieme a loro.
I genitori non dovrebbero mai sopravvivere a un figlio.
E oggi, per l'ennesimo 25 settembre e per tutti gli altri che verranno, sono qui a pensare, cercando di capire come vivrei io, da genitore, una tragedia simile,
pensieri enormi.

il 25 settembre del 2005 un ragazzo di nome Federico ha perso la vita, ucciso con violenza e odio da quattro poliziotti, loro sono ancora qui a fomentare quell'odio,
noi tentiamo di non far succedere MAI PIU' nulla di simile...ma sembra che vincano loro,
i loro colleghi, chi li comanda, chi li copre, chi li istiga...vincono loro, dato che dobbiamo ricordare violenze su altri cittadini, oltre a quella di Aldro, continuano imperterriti a vincere loro.
I processi, le lotte quotidiane delle famiglie coinvolte, la richiesta di giustizia
per
Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferulli, eccetera.......eccc......e quanti sono, non si contano più.

Federico è diventato un mio momento personale di riflessione e so per certo che NOI non diementichiamo.

venerdì 7 giugno 2013

Aggrediti dai neofascisti Zulù e il fonico a Velletri


Venerdì 7 giugno 2013

E' accaduto ieri sera a Velletri, in provincia di Roma, intorno alle ore 22.30. Quando subito dopo aver parcheggiato la macchina nella piazza antistante il pub "Passo carrabile", dove Zulù avrebbe dovuto esibirsi, il nostro cantante e uno dei fonici della band sono stati aggrediti con cinture e altri oggetti atti a offendere da un gruppo di una ventina di persone che esponevano simboli di estrema destra. La pronta reazione e l'intervento della sicurezza del locale hanno fatto sì che gli aggressori si dessero rapidamente alla fuga, impedendo che l'episodio avesse conseguenze più gravi delle contusioni, dei tagli e delle abrasioni superficiali riportate dai nostri compagni, che hanno rifiutato di essere trasportati in ospedale. Purtroppo la serata non ha potuto avere luogo e ci scusiamo con i presenti che erano venuti ad assistere allo spettacolo.

Un fatto grave, che si inserisce in una sempre più preoccupante recrudescenza dell'estremismo fascista in Europa e in Italia. Il 5 Giugno a Parigi, nei pressi della centralissima Saint-Lazare, è morto in seguito alle percosse ricevute da tre naziskin Clément Méric, studente della facoltà di Scienze Politiche di appena 18 anni. Nella notte dello stesso 5 giugno una molotov è stata lanciata contro il portone del centro sociale Astra 19 nel cuore del Tufello a Roma, al piano terra di una casa popolare abitata da decine di persone. Anche in questo caso, chiara la matrice fascista, nel clima avvelenato della campagna elettorale per le Comunali a Roma.

Chi ci mette la faccia si assume i suoi rischi e noi che ce la mettiamo da vent'anni lo sappiamo bene. Anche a Velletri stasera, quando in due abbiamo subito l'aggressione di venti fascisti che colpiscono e scappano. "Venti a uno è la tua forza fascio infame", cantiamo in "Rigurgito antifascista", una delle nostre canzoni più famose. E anche stasera abbiamo avuto la dimostrazione che non ci sbagliamo: vigliacchi, capaci di farsi forza solo in branco e in schiacciante superiorità numerica. Non abbiamo sporto denuncia perché crediamo che l'antifascismo non si pratichi in quegli stessi tribunali che assolvono gli assassini di Stefano Cucchi e comminano 100 anni di carcere a 10 compagn* per qualche vetrina rotta a Genova. L'antifascismo si fa nelle strade.

La lotta continua, a testa alta come sempre, sputandovi in faccia il nostro odio!

99 Posse & Crew

giovedì 6 giugno 2013

Battaglia per Xm_9 giugno


Torino 5 giugno 2013:in mattinata sgombero dell'ex Diatto, in serata tensioni con cariche della polizia

Serata ad alta tensione nel quartiere San Paolo di Torino, con cariche della polizia e lancio di lacrimogeni. La fine giornata dopo lo sgombero dell'ex Diatto è stata più dura di quanto era accaduto in mattinata.
Un epilogo che ha portato a cariche da parte delle forze dell'ordine contro i manifestanti del centro sociale Gabrio, il comitato Sniarischiosa e i gli abitanti del quartiere, che ha una tradizione operaia tanto da essere considerato uno dei più "rossi" di Torino, scesi in strada per protestare.
L'appuntamento era stato fissato per le 21, tra via Frejus e corso Racconigi, per manifestare dopo l'inizio dei lavori della struttura occupata lo scorso ottobre contro la speculazione edilizia che vede nell'area ex Snia un piatto ricco. Un corteo di trecento persone si è snodato per le strade del quartiere senza incidenti.
I militanti del Gabrio informavano di quanto avvenuto in mattinata chi ancora ne era all'oscuro. Raccontando anche di come delle parti storiche della nostra città, ad esempio la cisterna del 1918 e addirittura un acquedotto romano, fossero finite sotto le macerie causate dalle ruspe. Ma ai fumi della polvere che nella mattinata avevano impregnato l'aria questa sera si è aggiunto quello dei lacrimogeni.
Infatti all'altezza con via Moretta i manifestanti si sono avvicinati ai cordoni della polizia. Da qui è partita la carica. Una decina di candelotti di gas sono stati sparati e uno è finito sul balcone di un'abitazione mentre attivisti del Gabrio e gente del quartiere hanno chiuso la strada con dei cassonetti e poi fatto ritorno verso via Revello.
La tensione, come detto, è alta. Va ricordato che nel pomeriggio l'area era stata visitata anche dai consiglieri comunali di Sel che avevano documentato fotograficamente i danni causati dalle ruspe soprattutto all'acquedotto romano.

trato da: nuovasocieta.it

mercoledì 5 giugno 2013

Vergognosa sentenza per Stefano

Ecco qua,
anni di lotta della famiglia Cucchi e di tutte le persone che non credono che "non sia Stato nessuno",
anni dolorosi calpestati nuovamente oggi.
una giornata da dimenticare,
per Stefano...verità e giustizia, senza sconti nè regali per nessuno.
Vergogna!

"Sono pene irrisorie - ha commentato Ilaria Cucchi - Ce l'hanno ucciso un'altra volta". Urla fuori e dentro l'aula bunker all'indirizzo dei giudici: "Dov'è la giustizia? Assassini"


Il primo grado del processo per la morte di Stefano Cucchi si chiude con sei condanne per omicidio colposo e sei assoluzioni "per non aver commesso il fatto". Colpevoli i medici dell'ospedale Pertini, innocenti gli infermieri e gli agenti della penitenziaria. Tutte le pene sono state sospese. Alla lettura della sentenza, è scoppiata la rabbia dei familiari. "Dov'è la giustizia? Assassini", ha urlato la folla.

 Stefano Cucchi, il geometra romano di 31 anni, è morto una settimana dopo il suo arresto per droga nell'ottobre del 2009. E' stato un lungo processo, di perizie e contro-perizie, per arrivare alla sentenza di oggi, dopo quasi otto ore di camera di consiglio. Per i giudici, infermieri e poliziotti non hanno contribuito alla morte di Cucchi.

Nell'aula è scoppiato il caos, con spintoni ai giudici. "Fate schifo!" hanno urlato i presenti. In lacrime i familiari di Stefano, a cominciare dalla sorella Ilaria, da sempre in prima linea nella battaglia per la verità sulla morte di suo fratello: "Io non mi arrendo - dice - questa è una giustizia ingiusta. I medici dovranno fare i conti con la loro coscienza, ma mio fratello non sarebbe morto senza quel pestaggio. Si tratta
di una pena ridicola rispetto a una vita umana. Sapevamo che nessuna sentenza ci avrebbe dato soddisfazione e restituito Stefano ma calpestare mio fratello e la verità così... non me l'aspettavo".

"Me l'hanno ucciso un'altra volta. Andremo avanti fino in fondo, troveremo la verità, chi è stato un fantasma a farlo morire?" ha aggiunto la madre, Rita Calore. "Sono stati tutti assolti, non esiste - ha commentato il padre di Stefano - Non hanno fatto indagini adeguate. E' una sentenza inaccettabile. Proseguiremo".

All'uscita dall'aula Ilaria è stata accolta da un applauso dei manifestanti: ''Non ti lasciamo sola'' le hanno detto in molti. "Noi la verità la sappiamo" ha risposto lei.

Deluso anche l'avvocato della famiglia, Fabio Anselmo: ''Tre anni fa avevo previsto questo momento. Questo è un fallimento dello Stato, perché considerare che Stefano Cucchi è morto per colpa medica è un insulto alla sua memoria e a questa famiglia che ha sopportato tanto. E' un insulto alla stessa giustizia". "In questo processo lo Stato non ha risposto. Ad esempio non sono stati identificati gli autori del pestaggio'' ha concluso.

LE CONDANNE. Nel dettaglio, il giudice ha inflitto due anni di reclusione al primario Aldo Fierro, un anno e quattro mesi ciascuno per i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Silvia Di Carlo e Luigi De Marchis Preite; otto mesi di reclusione per l'altro medico Rosita Caponnetti per falso in atto pubblico. La corte ha derubricato per loro l'accusa di abbandono di persona incapace mutandola in omicidio colposo. Per tutti i condannati è stata disposta la sospensione condizionale della pena.

I condannati, ad esclusione della Caponnetti, sono stati condannati anche a risarcire le parti civili per 320mila euro: centomila euro al padre di Cucchi, altrettanti alla madre, 80mila euro alla sorella, 20mila euro ciascuno per i due nipotini. I medici dovranno pagare anche le spese legali sostenute dalla famiglia Cucchi.

LE ASSOLUZIONI. Assolti invece i tre infermieri (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe) e i tre agenti penitenziari (Corrado Santantonio, Antonio Domenici, Nicola Minichini) che hanno avuto in affidamento Stefano Cucchi nella mattinata del 16 ottobre del 2009, tutti con formula piena "per non aver commesso il fatto". Erano accusati, a vario titolo e a seconda delle diverse posizioni, di abbandono di incapace, abuso d'ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso di autorità.

Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra novanta giorni ma le decisioni della corte non hanno accontentato il pm Vincenzo Barba: ''L'assoluzione dei tre agenti penitenziari non ci lascia soddisfatti e sarà oggetto di nostra valutazione''. E' probabile che la Procura farà appello.

LE REAZIONI. ''E' la fine di un incubo. La giustizia ha trionfato'' ha commentato Nicola Menichini, uno dei poliziotti coinvolti, mentre lasciava l'aula bunker di Rebibbia tenendo sotto braccio la moglie. Esultano anche alcuni sindacati di polizia, come il Sappe e la Fns Cisl Lazio. ''E' una vittoria sia dal punto di vista umano che dal punto di vista professionale'' ha detto invece l'avvocato Diamante Ceci, legale di due dei tre infermieri oggi assolti.

''Per fortuna è emersa la verità che ha alleviato una sofferenza di quattro anni - ha detto Giuseppe Flauto, uno dei tre infermieri - E' stata proprio una liberazione. Ringrazio l'avvocato, tutti quelli che ci sono stati vicini che sanno come sono andate le cose. Sanno come ci siamo comportati, abbiamo sempre fatto di tutto per aiutare questo ragazzo, non solo noi ma anche i medici. Questo però non è stato capito. Spero che anche i medici verranno assolti con formula piena''.

UN PROCESSO LUNGHISSIMO. Dopo il rinvio a giudizio disposto nel gennaio del 2011, l'inizio il successivo 24 marzo davanti alla III Corte d'assise di Roma. E poi, ben 45 udienze, 120 testimoni sentiti, decine di consulenti tecnici nominati da accusa, parti civili, difesa, e anche una maxi-perizia disposta dalla stessa Corte. All'ipotesi accusatoria, si è aggiunta quella delle parti civili che hanno fatto derivare da una "caduta" di eventi partiti dal pestaggio le cause che portarono alla morte Stefano; fino alle ipotesi difensive, con le quali si è cercato di ricondurre in maniera diversa i fatti, non parlando di pestaggio e sottolineando l'impossibilità di contestare il gravissimo reato di abbandono. E alla fine, la tesi dei periti nominati dalla Corte, secondo i quali Stefano morì per "inanizione", ovvero "mancanza di cibo",  riconducendo molte delle accuse in una colpa medica.

tratto da: Repubblica.it, il racconto della giornata


...e in più Giovanardi, per non smentirsi mai...

Il senatore Carlo Giovanardi torna a far parlare di sé con una dichiarazione assurda sulla sentenza del caso Cucchi: «Il tempo è galantuomo e fa giustizia del linciaggio mediatico a cui sono stati sottoposti gli agenti di custodia, sulla base di pregiudiziali ideologiche».

Per Giovanardi «era chiaro dal primo momento, come ho sempre sostenuto fin dall'inizio, che i problemi di salute del povero Stefano Cucchi, segnato da una vicenda umana contrassegnata da gravi patologie e continui ricoveri in pronto soccorso, avrebbero dovuti ricevere le attenzioni dovute a una persona incapace di gestirsi».

NON CI SONO PAROLE.


Avv. Fabio Anselmo e Ilaria Cucchi

Bagno di sangue in Turchia

Bagno di sangue in Turchia la polizia uccide i manifestanti
Scontri e uccisioni in tutta la Turchia, le foto e i video che provengono dalla Turchia sono impressionanti. Dalle informazioni che mi sono arrivate ci sono stati minimo 2 morti e 4 persone hanno perso la vista dopo essere stati centrati dai candelotti lacrimogeni o proiettili di gomma sparati dagli agenti, mentre altri 5 sono in pericolo di vita per fratture al cranio, oltre 1700 arresti e più di 1000 feriti. La polizia è intervenuta con i gas lacrimogeni, lanciati anche dagli elicotteri, ha usato idranti e ha anche fatto ricorso a bastoni elettrificati, che colpiscono con scariche anche di 40.000 volt le persone, stordendole.  In 67 città Turche contestazione anti-governo,  secondo il ministro Guler negli ultimi 4 giorni ci sono state 235 manifestazioni di protesta in tutta la Turchia. Oltre a Istanbul e Smirne, nella Capitale Ankara migliaia di persone hanno marciato per il centro tentando di raggiungere il Parlamento. Nel centrale quartiere di Kizilay centinaia di persone hanno lanciato pietre contro la polizia. Blocchi parziali per Twitter e Facebook, il principale provider turco TTNET impedisce l’accesso a Twitter e Facebook. Il presidente turco Abdullah Gul ha lanciato un appello al “buon senso” e alla “calma”, ritenendo che le proteste abbiano raggiunto “un livello preoccupante” e Il premier  Recep Tayyp Erdogan ha detto: “Azioni estreme dalla polizia”, ma nel frattempo non ha fermato la polizia e gli scontri sono continuati col massacro dei manifestanti. Molti manifestanti sventolano la bandiera nazionale,  e chiedono le dimissioni del primo ministro Recep Tayyp Erdogan.  In alcune zone della città di Istanbul i Turchi del TKP riescono a far arretrare la polizia ecco il video:
http://www.youtube.com/watch?v=xQVfKBe8czU
Ormai in Turchia è in atto la dittatura e la repressione violenta della popolazione.

Ecco i video degli scontri:
Le immagini contenute in queste note sono esplicite e raffigurano scene di guerriglia in Turchia. E’ sconsigliata la visione ad un pubblico non adulto e facilmente impressionabile.
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=JWmF1VhL3nI
http://www.youtube.com/watch?v=pfimNRrhrms&feature=youtu.be
http://www.youtube.com/watch?v=wS9MDYmEkHU
http://www.youtube.com/watch?v=-o__sPsaclM
https://www.facebook.com/photo.php?v=546806192054026&set=vb.217514361649879&type=2&theater
http://vimeo.com/67432788
http://vimeo.com/67480646
https://www.facebook.com/photo.php?v=10151648526182702

Notizie Ansa:
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2013/06/01/Turchia-nuovi-scontri-Gezi-Park-decine-feriti-_8802695.html
L’ufficio di Amnesty International a Istanbul, nei pressi di piazza Taksim, è stato trasformato in una sorta di pronto soccorso per fornire aiuto ai feriti degli scontri della notte scorsa tra manifestanti e polizia. Lo ha detto all’ANSA, in un colloquio telefonico, il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury. “Anche la nostra sede è stata raggiunta dai fumi dei lacrimogeni” e sono “una ventina i volontari – tutto personale medico – che hanno curato decine di feriti, tra i quali alcuni bambini”, ha raccontato Noury, riferendo di maltrattamenti e abusi della polizia nei confronti degli arrestati. “I manifestanti fermati sono stati tenuti in massa, fino a 12 ore, nei blindati della polizia senza acqua, cibo e senza servizi igienici”, ha detto ancora il portavoce di Amnesty raccontando anche di “violenze nella stazione di polizia vicino a piazza Taksim e nella stazione centrale di polizia di Istanbul”. Secondo fonti mediche, ha precisato Noury, “lacrimogeni sono stati lanciati anche all’ingresso degli ospedali” e la polizia “ha arrestato feriti che necessitavano di cure”.
Ecco le informazioni trovate sul perché degli scontri:

Migliaia di persone stanno manifestando a Istanbul da venerdì 28 maggio per impedire la distruzione di uno dei parchi più importanti della città, il Taksim Gezi park, per fare posto a una caserma militare, un centro commerciale e una moschea secondo il piano voluto dal primo ministro Recep Tayyip Erdogan, ex sindaco di Istanbul, che vorrebbe trasformarla in una delle “capitali del mondo”. Nel piano, infatti, è prevista anche la costruzione del terzo ponte per collegare la parte europea a quella asiatica e la realizzazione di uno degli aeroporti più grandi del mondo.
La storia del Taksim Gezi park
Il Gezi park è un parco che si trova a fianco di piazza Taksim, nel distretto di Beyoglu. Ospita circa 600 alberi ed è una delle aree verdi storiche della città turca. Il parco, costruito sulla base del piano dell’architetto francese Henri Prost, è stato aperto al pubblico per la prima volta nel 1943 con il nome di Inonu park, in onore del secondo presidente turco Ismet Inonu che ha guidato il paese dal 1938 al 1950. La sua realizzazione, però, è stata voluta dal padre della Repubblica e primo presidente, Mustafa Kemal Ataturk, e ha comportato la demolizione di una caserma militare nel 1940, la stessa che ora vorrebbe essere ricostruita al posto del parco. Nel corso degli anni la sua estensione è stata ridotta più volte per fare spazio a diverse strutture alberghiere pur rimanendo uno dei luoghi più importanti e amati dai cittadini di Istanbul per rilassarsi e incontrarsi.
L’esplosione delle proteste
Le proteste si sono intensificate nella giornata di venerdì 31 maggio dopo che alla polizia è stato ordinato di usare la forza per sgomberare le tende dei manifestanti, per la maggior parte pacifici, e costringerli ad abbandonare il parco anche attraverso l’utilizzo di idranti, lacrimogeni e spray urticanti. I feriti causati dagli scontri sarebbero già più di un centinaio, alcuni in gravi condizioni. Tra questi ci sarebbero anche giornalisti, fotografi e due deputati dell’opposizione al governo guidato da Erdogan. Dopo le prime notizie arrivate da Istanbul, cortei di solidarietà si sono tenuti anche ad Ankara, capitale della Turchia, e in una decina di altre città. La lotta per la difesa di un parco si sta trasformando in qualcosa di più ampio.
Secondo il corrispondente dalla Turchia di Euronews, le proteste “sono iniziate contro un progetto di urbanizzazione, ma poi il carattere della mobilitazione è cambiato. Gran parte dei manifestanti non sono solo contrari al progetto ma protestano contro il comportamento del governo che non prende mai in considerazione il punto di vista dei cittadini”.
Erdogan, il cui atteggiamento è stato da sempre considerato troppo autoritario da parte dei partiti di opposizione, ha dichiarato di voler proseguire nella realizzazione del progetto di trasformazione di Istanbul a prescindere da cosa facciano i manifestanti. Inoltre ha affermato che le proteste sono di natura politica e non hanno nulla a che vedere con la distruzione del parco.
Altre fonti informative:
http://andreainforma.blogspot.it/2013/06/la-primavera-turca-sboccia-al-gezi-park.html

Per ulteriori informazioni , leggere qui:

tratto da: signoraggio.it

Ciao Carla!

un anno fa ci ha lasciati Carla Verbano, la mamma di Valerio.
una donna che ha lottato una vita intera per far luce sulla morte del figlio, per trovare quella verità e quella giustizia negata per anni.
quello che segue è un articolo pubblicato l'anno scorso il giorno dopo la sua morte:



Carla Verbano aveva 56 anni la mattina in cui suonarono alla sua porta, in via Monte Bianco, nel quartiere Montesacro, a Roma. Guardò dallo spioncino, erano tre ragazzi, dissero «Siamo amici di suo figlio Valerio». Lei aprì, i tre nel frattempo si erano calati il passamontagna: entrarono in casa, legarono Carla e Sardo, suo marito, e li fecero sdraiare sul letto, nella camera matrimoniale. Poi aspettarono. Valerio tornò a casa, posteggiò la Vespa 50 e salì. Carla e Sardo sentirono voci concitate, rumori, poi uno sparo, uno solo. I tre scapparono, uscendo dal portone incontrarono una persona. In casa Verbano entrò un vicino che aveva sentito lo sparo, liberò Carla e Sardo: corsero nell’altra stanza, Valerio era sul divano a faccia in giù, disse «mamma aiuto, aiutami mamma», e basta. Gli avevano sparato alla schiena, sotto la nuca. Morì mentre lo trasportavano all’ospedale. Valerio aveva 18 anni, era militante dell’autonomia operaia, frequentava un istituto romano, l’Archimede. Morì, giustiziato a casa sua, il 22 febbraio 1980. Ieri è morta anche sua mamma, Carla:aveva 88 anni. Sardo se n’era andato tempo fa. Per 32 anni Carla ha inseguito la verità, non si è mai data pace: è arrivata a toccarla, quasi a guardarla negli occhi. Era una tenace, non si arrendeva.
Dopo quella mattina di febbraio vennero fatti gli identikit con l’aiuto di chi aveva visto gli assassini uscire dal portone: erano anche loro giovanissimi, come Valerio. Una rivendicazione arrivò dai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, fascisti diciottenni che in quegli anni misero a ferro e fuoco Roma e non solo. Si trovavano nel bar del fungo, all’Eur. Da piccoli fascistelli divennero un gruppo di assassini tra i più feroci. Carla Verbano di politica non sapeva nulla, non aveva capito nulla di quegli anni. Iniziò a scavare, a cercare di capire, incontrò amici e poliziotti, incontrò i nemici di Valerio. Ha raccontato tutto in un libro, Sia folgorante la fine, uscito due anni fa. Ha scritto Carla Verbano: «L’inizio deve essere folgorante, Carla, mi dicono quelli ai quali parlo del libro. Capirai, folgorante, alla mia età. Io come inizio ho scelto la cosa più innocua che ci sia, un sogno. Perché quando mi sveglio, ogni mattina da trent’anni, voglio tutt’altro: sia folgorante la fine, di questa storia».
La storia della morte di Valerio Verbano è anche la storia di una città, Roma, che in quegli anni era divisa, piena di confini: di qua zona nera di là zona rossa. Le botte ma anche i colpi di pistola, gli omicidi a freddo. Le imprese del gruppo di Fioravanti e Mambro, con Giorgio Vale, Alesandro Alibrandi, Stefano Soderini, Gilberto Cavallini, Luigi Ciavardini. Gente che uccise a freddo, come davanti al liceo classico Giulio Cesare, quando spararono a Franco Evangelista, il poliziotto che chiamavano Serpico. O come quando uccisero un magistrato, Mario Amato, il 23 giugno 1980. Amato era l’unico che a Roma indagava sui “neri”. Da solo, per una mole enorme di delitti: nessun aiuto, poca solidarietà. Lavorava nello stesso palazzo del giudice Antonio Alibrandi, papà di Alessandro, l’assassino amico di Giusva Fioravanti. Amato faceva arrestare Alessandro, il padre lo liberava. Alla fine Amato fu ucciso. Era solo, senza scorta, senza macchina blindata.
Carla Verbano era convinta di sapere chi aveva ucciso suo figlio. Militanti fascisti, di questo era certa. Sapeva anche che una cosa è la verità storica e un’altra è quella giudiziaria. Negli ultimi due anni i magistrati che hanno riaperto il caso hanno lavorato attorno ad alcuni nomi, gente insospettabile oggi, allora giovanissimi “neri” che ruotavano intorno ai gruppi di fuoco. Cani sciolti che non appartenevano ufficialmente a nessun gruppo. Già allora si erano fatti molti nomi. Valerio era figlio di quegli anni, non era un angelo, un pacifista: partecipava a scontri, anche duri, con i fascisti. Prendeva botte e le dava, in un quartiere, Montesacro, le cui linee di confine tra una parte e l’altra mutavano quotidianamente. Valerio Verbano aveva un archivio con tanti nomi di camerati della zona di Montesacro. Si parlò di Nanni De Angelis, giovanissimo militante di Terza Posizione, il gruppo fondato da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Peppe Dimitri. Si disse che De Angelis era stato colpito da Verbano durante uno scontro tra rossi e neri. Nanni, accompagnato dal padre, andò a casa Verbano. Entrò nella stanza dove Valerio era stato ammazzato. Disse: «Signora, io non c’entro nulla con la morte di suo figlio».
Anche Nanni De Angelis fece una brutta fine, pochi mesi dopo. Venne arrestato il 4 ottobre del 1980 mentre era in compagnia di Luigi Ciavardini, indicato come l’assassino del poliziotto Serpico. Al momento dell’arresto ci fu una colluttazione violenta, De Angelis era un ragazzone alto e grosso, giocatore di football americano, uno che non si tirava mai indietro. Venne ricoverato in ospedale poi subito dimesso e chiuso in isolamento a Rebibbia. Lo trovarono impiccato con un lenzuolo il 5 ottobre. In tanti non hanno mai creduto alla versione ufficiale.
Un altro omicidio, commesso a Milano nel marzo 1978, quello di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, è simile a quello di Valerio Verbano. Spararono a Fausto e Iaio davanti al Leoncavallo. Anche in questo caso ci sono alcuni nomi, soprattutto uno: nomi che ruotano intorno a questa storia. Indizi, mai prove. Carla Verbano pensava che potesse essere stata la stessa gente. Che gli assassini di Fausto e Iaio fossero venuti da Roma. C’è un’altra cosa che racconta Carla Verbano nel suo libro. Un giorno incontrò Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Aveva cercato lei quell’incontro. Di chi aveva ucciso suo figlio, Giusva Fioravanti disse di non sapere nulla. «Ma ha mentito», dice Carla, «io lo so che ha mentito. Mentì anche quando disse di non sapere nulla dell’omicidio Amato. E invece poi si seppe che era stato lui a pedinare il magistrato, a dare tutte le indicazioni».
Ogni tanto qualcuno imbratta la lapide che ricorda Valerio Verbano a Roma, succede spesso. Fanno scritte, la vernice è nera. Carla viveva qualche piano sopra quella targa. Lei diceva: «Venite, guardatemi negli occhi, avete solo il coraggio di sporcare una lapide». Nessuno le ha mai risposto, nessuno l’ha mai guardata negli occhi. Ora è morta senza potere vedere il volto di chi ammazzò suo figlio come un cane, mentre lei era legata in una stanza e lo sentiva urlare.

tratto da: ilpost.it

10x100...continua.

Dopo Ines, anche Francesco.


Messina, 28 maggio 2013 – Nella mattinata di ieri, i militari della Compagnia Carabinieri di Messina Centro hanno dato esecuzione ad un provvedimento emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Genova, a carico di Ines, nata e residente a Messina, cl. 1970.
In particolare, i militari dell’Arma hanno notificato alla citata Ines un ordine di esecuzione per espiazione di pena definitiva, emesso il 25 maggio u.s., con il quale la prevenuta è stata condannata alla pena definitiva di 3 anni e 6 mesi di reclusione, poiché ritenuta responsabile dei reati di devastazione e saccheggio, per fatti commessi nel corso del G8 di Genova nel mese di luglio 2001.
Dopo le formalità di rito, su disposizione dell’A.G. mandante, Ines è stata accompagnata presso il proprio domicilio e sottoposta al regime di detenzione domiciliare.


5 giugno 2013 in Spagna, a Madrid è stato arrestato Francesco Puglisi.
Agentes de la Policía Nacional han detenido a un ciudadano italiano huido desde julio del pasado año y condenado a doce años de prisión por delitos relacionados con la tenencia y uso de armas de guerra y explosivos. Se le encuadra en grupos antiglobalización y de la izquierda italiana.
El arrestado es Francesco Puglisi, alias 'Molotov' y nacido en Catania (Italia) en 1974, que se encontraba encausado en varios procedimientos penales por su participación activa en los graves incidentes ocurridos en Génova en el año 2001 durante la celebración de la Cumbre del G-8.
Además, cuenta con un amplio historial delictivo, con una detención y registro domiciliario, en el año 2000, cuando se le intervino 30 cartuchos de dinamita, detonadores y mecha para su uso. Encuadrado en grupos antiglobalización y de la extrema izquierda italiana, se encontraba huido desde julio de 2012 tras ser condenado a más de 12 años de prisión en Italia.
La operación ha sido llevada a cabo por agentes de la Comisaría General de Información del Cuerpo Nacional de Policía, en colaboración con la Policía italiana, en virtud de una Orden Europea de Detención y Entrega (OEDE) expedida por la autoridad judicial italiana. Además, el Juzgado Central de Instrucción número 2 de la Audiencia Nacional estaba informado de los hechos.
Los agentes españoles localizaron a Francesco Puglisi tras un intenso seguimiento por diversas ciudades españolas, según informa el Ministerio de Interior. El arresto se ha producido en el marco de la cooperación y colaboración policial internacional para la persecución y detención de aquellas personas que se dedican al tráfico ilegal, tenencia y uso de armas y explosivos, asentándose en nuestro país para, de esta forma, eludir la acción judicial.

Europei 2013 in Israele, gli stadi costruiti sulle macerie di villaggi palestinesi

Il mese di giugno segna l’inizio della coppa europea di calcio under 21. Il fischio d’inizio sarà oggi, 5 giugno, corrispondente alla data in cui, nel 1967, l’esercito israeliano occupò i territori palestinesi.
L’esodo forzato palestinese (soprattutto nel periodo della Nakba, dopo il ’48, ma anche in quello della Naksa, dopo il ’67) si svolse con una pulizia etnica e territoriale ancora oggi non ben definita numericamente (continui i ritrovamenti di fosse comuni negli attuali territori israeliani). L’epurazione territoriale avvenne con il fuoco e con la cancellazione dalle mappe di centinaia di villaggi palestinesi. Molte persone riuscirono a fuggire, molte altre invece trovarono la morte da parte delle bande sioniste (tra le quali Banda Stern, Irgun e Haganah). Sulla maggior parte dei villaggi palestinesi distrutti o depopolati sono poi stati costruiti insediamenti ebraici o città (come avvenuto per molti quartieri di Tel Aviv). Sotto ogni stadio in cui si giocherà la coppa d’Europa ci sono i resti di interi quartieri palestinesi.
TEL AVIV, stadio Bloomfield – Qui nel ’48 venne espulsa con la forza la squadra palestinese Shabab al-Arab.
TEL AVIV, stadio Ramat Can (di riserva) – Qui sotto c’erano i villaggi Jarisha e al-Jammasin al-Sharqi, facendosi forza della legge detta “della proprietà degli assenti”, Israele si è impadronito delle terre lasciate dai profughi che scelsero la fuga alla morte.
PETAH TIKVA, stadio di HeMoshava – Ancora visibili i resti del villaggio Fajje.
NETHANYA, Municipal Stadium - Nel ’48 venne eseguita pulizia etnicha e territoriale del villaggio Beyyarat Hamum .
GERUSALEMME, Teddy Stadium – Anche qui la strage di al-Maliha messa in atto dalle bande terroristiche Irgun Zval Levni e Palmach uccisero quasi tutti gli abitanti.
Deir Yassin, uno dei massacri peggiori, circa 250 corpi furono ritrovati dalla Croce Rossa: quando gli abitanti si rifiutarono di lasciare le case, furono lanciate bombe incendiarie per costringere la popolazione ad uscire di casa per poi sparare loro a vista. Solo dopo due giorni venne accordato alla Croce Rossa di entrare nel territorio, avendo così il tempo di nascondere i cadaveri, addirittura cambiarono le indicazioni stradali per indurre in errore le squadre di soccorso.
Il popolo sportivo (e non) ha tentato, attraverso petizioni e lettere a Michel Platinì, di non far svolgere questo avvenimento calcistico in Israele. Tutto è rimasto senza risposta e oggi ci sarà il via alla competizione. Anche i palestinesi hanno cercato di far valere i loro diritti, in quanto sarà molto difficile per loro assistere alle partite permanendo il divieto per gli abitanti della Cisgiordania di entrare in Israele senza permessi.
Il giocatore palestinese Mahmoud Sarsak (che per tre anni è stato rinchiuso in un carcere israeliano con l’accusa di terrorismo, anche se non formalizzata) stava passando il checkpoint di al-Erez per giocare una partita di calcio. Ora libero, ha tentato di convincere la UEFA a non far svolgere in Israele la competizione, mettendo in evidenza la situazione che a tutt’oggi subiscono i palestinesi. Ancora oggi la Nakba prosegue e si è aggiunta l’apartheid che giornalmente si attua nei confronti della popolazione araba.
Graziella Adwan
da: frontierenews.it

Campagna UAAR 2013


Terni. Polizia impazzita, carica gli operai e ferisce il sindaco

Un corteo degli operai Ast, in sciopero per quattro ore contro la vendita della fabbrica da parte dei padroni finlandesi di Outokumpu. Si dirige verso la stazione e la polizia carica a freddo. Alcune centinaia di dipendenti dell'Ast di Terni ha partecipato stamattina allo sciopero di quattro ore, dalle 9 alle 13, di tutti i reparti dell'acciaieria, indetto per oggi dai sindacati dopo l'esito non soddisfacente degli ultimi incontri con la proprietà del sito siderurgico, la multinazionale finlandese Outokumpu.
I manifestanti, partiti dai cancelli dell'Ast, in corteo hanno raggiunto la sede della prefettura. Saracinesche dei negozi abbassate al passaggio del corteo.
Un corteo silenzioso e senza striscioni, ma determinato ad alzare il tono della protesta in merito alla vertenza Ast; semplice il criterio: se non ti fai sentire con forza, nessuno si occupa di prenderti in considerazione.
Gli operai dell’acciaieria hanno raggiunto la stazione ferroviaria ed hanno deciso di bloccare i binari per alcuni minuti, prima di recarsi sotto al palazzo della Prefettura, ultima tappa del corteo. La polizia ha caicato ad occhi chiusi, senza badare a nulla e a nassuno A rimetterci, tra i primi, è stato il sindaco della cittadina umbra, Leo Di Girolamo, colpito alla testa da una manganellata, rimasto ferito.
E' stato poi medicato al pronto soccorso. Il sindaco si è sentito al telefono con il prefetto Vittorio Saladino, che si è detto ''addolorato'' per quanto successo (inevitabilmente ora ci saranno provvedimenti, trasferimenti di personale, ecc). Di Girolamo ha infatti parlato di ''violenza incomprensibile'' da parte di poliziotti che, evidentemente, in questi giorni si sono "gasati" con l'esempio turco.

Oltre al sindaco, sono rimaste ferite anche numerose altre persone che si trovavano alla testa del corteo. I testimoni raccontano di un'azione assolutamente fuori controllo da parte dei poliziotti, che non si sono limitati a sbarrare la strada agli operai, ma hanno iniziato a manganellare a più non posso. Poi il corteo ha raggiunto egualmente la Prefettura. Permane ovviamente molta tensione, la polizia controllo a distanza.

Immediata la reazione anche del presidente della Regione Umbria. "Ho appreso in questo momento dall'assessore Vincenzo Riommi quanto accaduto a Terni nel corso della manifestazione dei lavoratori delle Acciaierie che in modo pacifico, come è sempre avvenuto negli ultimi 30 anni in questa città e in tutta l'Umbria, stavano manifestando a difesa del futuro delle acciaierie e del proprio posto di lavoro". E' quanto affermato dalla presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini.
Secondo la presidente dell'Umbria, "appare gravissima l'azione messa in atto dalle forze di polizia che anziché farsi interpreti e comprendere il legittimo diritto a manifestare hanno reagito in maniera violenta, ferendo addirittura lo stesso sindaco della città di Terni Leopoldo di Girolamo cui va in questo momento tutta la mia affettuosa solidarietà, così come agli altri cittadini coinvolti". "Come presidente della Regione - prosegue Marini - chiederò formalmente al ministro degli interni, Angelino Alfano, di approfondire quanto avvenuto facendosi egli si interprete della difficile situazione economica e sociale che vive il paese e anche la nostra regione. I lavoratori e le famiglie giustamente preoccupati del futuro delle proprie aziende e del proprio posto di lavoro non possono essere assolutamente trattati come un problema di ordine pubblico".
  Per la presidente Marini "il Governo deve affrontare questi temi sul piano del dialogo e del confronto di fronte a questa grave emergenza economica e sociale".
"Voglio ricordare - afferma ancora la presidente - che le istituzioni territoriali umbre, Regione, Provincia, Comuni da sempre, con senso di responsabilita', hanno svolto una funzione propositiva di dialogo e di comprensione dei fenomeni sociali con una gestione che non ha mai prodotto in questa terra tensioni tali da richiedere l'intervento delle forze dell'ordine. Sorprende pertanto che lo schieramento del reparto mobile della Polizia di Stato di fronte alla stazione di Terni anziche' essere un contributo all'ordinato svolgimento della manifestazione dei lavoratori e' divenuto elemento di tensione, determinando tafferugli che hanno portato al ferimento dello stesso sindaco della citta'".
  "Ribadisco con forza - aggiunge Marini - tutto il mio disappunto e nelle prossime ore assumero' un'iniziativa formale su quanto accaduto a Terni anche al fine di evitare che le prossime settimane, nelle quali ci troveremo ad affrontare nel merito la vicenda del passaggio proprietario dell'AST di Terni, si possa rischiare di aumentare la tensione sociale che sarebbe in contrasto con la storia decennale della nostra terra dove il diritto a manifestare è sempre avvenuto nel rispetto delle regole e dell'ordine pubblico".
Anche più "radicali" le critiche delle personalità con meno responsabilità istituzionali. «Dimissioni del questore», Il segretarla Fiom Cgil di Terni ha chiesto le dimissioni del prefetto di Terni Luigi Vita per i gravi fatti avvenuti alla stazione.
Galanello, Mariotti e Stufara: «Un atto di violenza inaudito e inaccettabile quello perpetrato oggi a Terni dalle forze di polizia che presidiavano la pacifica manifestazione dei lavoratori della Ast e a cui partecipavano rappresentanti delle istituzioni locali, regionali e nazionali. Un episodio determinato da una pessima gestione della piazza da parte della Questura di Terni, di cui i responsabili dovranno rendere contoc». Così i consiglieri Fausto Galanello e Manlio Mariotti (Pd) e Damiano Stufara (Prc-Fds) presenti alla manifestazione insieme ad altri colleghi dell’Assemblea legislativa umbra.
«Si chieda scusa a Terni» «Quello cui abbiamo assistito oggi – aggiungono Mariotti e Galanello – è un evento totalmente estraneo alla tradizione delle lotte e dei confronti sui temi del lavoro della città di Terni, e per questo ancora più incomprensibile. Le forze di polizia che presidiavano lo spazio antistante la stazione non avevano di fronte dei facinorosi e violenti individui, ma lavoratori, sindacalisti, rappresentanti delle istituzioni locali, regionali e nazionali che chiedevano, come atto simbolico, di ‘occupare’ la stazione ferroviaria, per dare maggior risalto alla propria protesta, come peraltro fatto anche in altre occasioni. Una avventata e inetta gestione della piazza da parte della Questura ha provocato degli incidenti che si sarebbero potuti evitare senza problemi, con atti di violenza di cui hanno fatto le spese anche il sindaco di Terni Di Girolamo e diversi manifestanti, a cui va tutta la nostra solidarietà. Occorre ora – concludono – che dopo questi fatti gravissimi i rappresentanti dello Stato chiedano scusa alla città di Terni e ai lavoratori, quale condizione necessaria per avviare una riconciliazione che smorzi le tensioni e consenta di riprendere con serenità, maggior forza e spirito unitario una vertenza difficile che riguarda non solo la città di Terni ma che ha un grande rilievo anche nazionale».

Dura la presa di posizione di Ross@ che denuncia come ormai ad ogni istanza sociale e sindacale l'unica risposta che le autorità sono in grado di mettere in campo sia quella delle manganellate. "Le imprese italiane chiudono, delocalizzano, portano i soldi e il lavoro all'estero e i lavoratori vengono prima lasciati soli e poi bastonati se reagiscono. Quanto successo a Terni in qualche modo è la cifra del governo Letta, altro che ammortizzatori e ricontrattazione con la Troika".
A denunciare con forza l'accaduto è anche il PRC, che chiama in causa il Governo: "E’ in corso una vergognosa repressione contro i lavoratori all’acciaieria di Terni - dice il segretario del PRC - è stato ferito anche il sindaco: come si permette il governo di attaccare gli operai che difendono il posto di lavoro? Ritiri immediatamente le forze dell’ordine, chiediamo le dimissioni del ministro dell'interno".

Insomma, è esploso un vero e proprio caso politico, con al centro il comportamento della polizia. Che ha fatto quello che va facendo da un po' di tempo in ogni piazza italiana, trovando persino il plauso dei politici di infimo rango e della stampa nazionale. Stavolta, però, hanno preso di mira un gruppo operaio che non aveva mai dato problemi né espresso una conflittualità esasperata. Anzi... E soprattutto se l'è presa con un sindaco.
Proprio sfortunati, 'sti poliziotti di Terni... Stavolta non possono proprio addebitare la propria follia alla presenza di quanche "black bloc"...

tratto da: contropiano.org

mercoledì 22 maggio 2013

Don Gallo ci lascia oggi.....ciao!

Muore Don Gallo e la tristezza si fa strada in tanti di noi...
questo era un uomo che doveva vivere fino a 110 anni...avrebbe avuto tanto ancora da darci.



Vauro & Don Gallo: ''Il potere''
28 novembre 2012



 I miei vangeli non sono quattro... Noi seguiamo da anni e anni il vangelo secondo De Andrè, un cammino cioè in direzione ostinata e contraria. E possiamo confermarlo, constatarlo: dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori. (Don Andrea Gallo)

sabato 30 marzo 2013

Patrizia Moretti querela Giovanardi: è uno sciacallo

Il senatore del Pdl aveva detto: la foto che ha fatto vedere la madre è vera ma la macchia rossa non è sangue. Patrizia Moretti perde la pazienza e querela Giovanardi.